Concorso ” Una parola al giorno ” – Menzione d’onore per Giampiero Pani

La parola del giorno è

Sgnack

[sgnàck]

SIGN Snack che ha subito processi di schiacciamento e compressione.

etimo incerto, ma sicuramente derivato dalla voce inglese [snack] (‘spuntino; merendina, specie di fabbricazione industriale, da consumare rapidamente’) con l’influenza, grazie all’introduzione della lettera ‘g’, del verbo [sgnaccare], tipicamente settentrionale, di origine onomatopeica, che significa ‘schiacciare, premere’.

La compressione dello sgnack è dovuta a un processo industriale, volto a produrre merendine di piccole dimensioni, ma di elevata densità. Un classico esempio sono le barrette energetiche destinate agli sportivi che, in pochi centimetri di conglomerato denso e appiccicoso, riescono a contenere centinaia di calorie di pronta utilizzazione.

Disgraziatamente lo sgnack, in forza di complessi processi fisico-chimici e metabolici che non stiamo qui ad illustrare, una volta assunto e digerito, si decomprime all’intero dell’organismo, espandendosi e accumulandosi nei depositi adiposi, soprattutto del giro-vita.

La parola sgnack viene anche utilizzata con un secondo significato, quello di un cibo che ha subito un incidente di percorso. Si definisce infatti sgnack la merendina infilata nello zaino frettolosamente e finita sotto il vocabolario di latino, che non avremo più bisogno di masticare. Anche un cioccolatino scivolato sotto i cuscini del divano può essere considerato uno sgnack, ma non più commestibile, a meno di divorare il cuscino stesso. Persino un panino al tonno e maionese dimenticato in fondo al frigo può diventare uno sgnack d’emergenza. Questi tre esempi spiegherebbero perché certi spuntini vengano denominati “cibo spazzatura”.

Il successo di questa parola è dovuto anche al suono del digramma ‘gn’ (peraltro presente anche in ‘gnam’) e che evoca in qualche modo l’azione del masticare: lo sgnack è qualcosa di già schiacciato di suo, ma che tuttavia verrà ancora ulteriormente schiacciato dai denti. Del resto, il termine inglese snack da cui la nostra parola ha preso vita, significa anche morso.

I primi riscontri dell’uso di questa parola risalgono agli anni cinquanta, quando i flussi migratori dal Sud e la scolarizzazione diffusa portò nelle famiglie, oltre ad un maggior uso della lingua italiana a scapito dei dialetti, i primi termini inglesi: dallo snack allo sgnack il passo fu breve.

Così “sgnack” apparve sulle vetrine dei primi bar a vocazione moderna, accanto drink, toast, sanguis (così si chiamava in Piemonte il panino imbottito) cichet (grappino) e al mitico stick, ovvero il ghiacciolo.

Questa è la parola inventata vincitrice del concorso del 1° aprile, inviata da Stefania! A lei i nostri migliori complimenti, brava!

* * *

Ma oltre a Stefania, peraltro vincitrice per la seconda volta di questo concorso, permetteteci alcune menzioni d’onore: in primis un’altra Stefania, che con i suoi ‘Zighettini’ di agrumi e piedi se l’è giocata all’ultimo, in secundis una terza Stefania (e che vi dobbiamo dire, sarà una questione onomastica!) che col suo ‘Cumquatto’ ci ha parlato di gesuiti in Cina, agrumi (anche lei!) e complotti; poi Bruno, che non ha menato il can per l’aia con la sua ‘Cinagoragogia’, Ilaria e la sua struggente ‘Lachilalia’, Antonio col suo attempato ‘Osteenager’, Lorenzo che ha fatto dell’augurio di buona lettura della parola del giorno un ‘Buongiorgio’, e Giampiero (vincitore 2017 con ‘Svongolare’) che ci ha parlato della ‘Pusciacca‘ fra ornitologia e dialetto.

E vogliamo onorare con una menzione anche i contributi della classe IA dell’Istituto Comprensivo “Leone Caetani” di Cisterna di Latina, e quelli degli studenti del Liceo “Leonardo da Vinci” (BO), fra cui sono spiccati l”Hebdomansia’ di Consuelo, lo ‘Scatapunzolare’ di M. Caterina e infine, ultimo ma non per importanza, il ‘Cucchiello’ di Andrea. Ci toccherà farne una raccolta, anche con qualche menzione extra.
Non avevamo mai ricevuto questa mole di proposte: ci ha fatto tanto piacere vedere quanti di voi abbiano, ancora una volta, colto lo spirito di questo gioco, e vi ringraziamo tutti per aver giocato con noi. Come lo ‘Sgnack’ di Stefania testimonia, inventare parole per scherzo può permettere di trovare per davvero degli scorci di realtà che abitiamo senza accorgercene. E questo è un bel modo d’incontrarsi.
Vi aspettiamo già per il concorso del 1° aprile 2020!

 

PUSCIACCA: s.f., minuscolo uccellino notturno; indumento
intimo di filato grezzo; persona fastidiosa, irritante,
spiacevole, importuna; talvolta anche “ zoccola ”. Arcaico e
desueto: “ Pisciacca ”.
Sostantivo diffuso nel Meridione d’Italia, dall’incerta
etimologia ( vedi infra ). E’ in primo luogo, il nome volgare
del volatile Noctinauta minima fastidiosa, passeraceo
piccolissimo, abile nel volo notturno ma pressocchè cieco
allo spuntare del sole, per cui – profittando dell’olfatto
acutissimo – è solito irrorare di urina il proprio nido, così da
poterlo ritrovare anche di giorno. Insegna il dizionario “
Dolente – Pollice – Sottomartello ” che talvolta il pennuto
equivoca e, accecato dalla luce diurna, si infila nelle
mutande calate del contadino che fa i suoi bisogni mattutini
nel campo, e ivi stolidamente rimane, anche quando il
villico, ignaro, tira su, presto avvertendo disagio per
l’inattesa presenza dell’intruso. E’ per traslato, dunque, o
per ardita metafora, che “ Pusciacca ” diviene sinonimo,
specie nelle zone appenniniche, di “ indumento di lana
grezza ”, soprattutto mutanda di filo ruvido e irritante, e,

infine, di persona spiacevole, fastidiosa, importuna. A volte,
anche di donna di facili costumi.
Assai dibattuto l’etimo. Secondo il dizionario storico dei
dialetti campani “ Spesso – Cambio – Sesso ”, vi è
ricorrenza, nei testi più risalenti, della originaria versione “
Pisciacca ”, oggi desueta, da leggersi come “ Piscia – ccà ”,
vale a dire come esclamazione di sorpresa del villico che
scopre l’uccellino annidato nella mutanda ed intento ad
irrorarla come fosse il nido ( dunque, per esteso: “ Chistu
strunz piscia ccà?! ” ). Dopodichè la vocale “ i “ sarebbe
prima caduta, per aferesi dadaista, per essere poi sostituita
dalla “ u “ eufonica ma non efelcistica di “ Pusciacca ”, vuoi,
secondo alcuni, per attrazione rispetto alle assonanti “
Fusciacca ” oppure “ Pucchiacca ”, vuoi, secondo altri, per
mera svista del copista medievale che la trascrisse malgrado
il singhiozzo, vuoi, più verosimilmente, come mera
contrazione di frase esclamativa più lunga ed espressiva: “
Puttana, chist piscia ccà! ”, nella concitazione della sorpresa
e del disappunto diventata un telegrafico “ Pu – scia – ccà ”.
Abbondanti gli esempi offerti dalla letteratura vernacolare:

così Pino Capodichino, nel suo godibile “ Vita non sempre
encomiabile di Ruffo ( o Rutto ) Conbrìo ”, riferisce che il
protagonista, laddove traversasse zone di brigantaggio, era
solito tenere le monete al sicuro “ nella pusciacca,
vantandosi fosse grande quanto la caverna di Alì Babà ”.
Parimenti, Scassatello da Fuoripompa ricorda, nel suo salace
“ Li Cunti de Frate Trullo ”, la pronta risposta che Casanova
veneziano, in vacanza in Salento, ricevette allorchè
domandò al vicino di spiaggia chi mai lo avesse iniziato ai
piaceri dell’amore: “ Dhra pusciacca de màmmata! ”.

 

 

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